Fin dalla prima edizione, l’immagine del manifesto del Cisterna Film Festival è stata sempre affidata ad un artista locale: dopo i primi due anni in cui si è dato spazio alla pittura con Cristiano Mancini e Luca Ferullo, si è passati alla fotografia con Alessandro Comandini, campo prescelto anche per questa quarta edizione del festival internazionale del cortometraggio.

Questa volta ad essere coinvolto è stato Luigi Fieni di Cisterna, restauratore trasferitosi in Asia da circa 20 anni, trascorsi soprattutto a Lo Manthang in Nepal. Specializzato nel restauro di monasteri tibetani e buddisti, è anche fotografo, con esposizioni in collettive e personali in tutto il mondo. Tra le tante collaborazioni vanta quella con National Geographic, con cui ha pubblicato su uno speciale libro celebrativo e sulla rivista stessa. Ha partecipato inoltre a due documentari come esperto di arte orientale. Per il Cisterna Film Festival è stata scelta una foto scattata durante un evento italiano, nonostante siano chiare le influenze orientali. Si tratta di Orticolario, manifestazione che si tiene ogni anno a Villa Erba, Como, e di cui è fotografo ufficiale: un evento che si concentra sulla natura e sul suo rapporto con l’uomo.   

Per la prima volta una tua foto si lega ad un evento in campo cinematografico: parlaci del tuo rapporto con la settima arte.

Il cinema è fotografia, e per me è fonte di studio. Essendo io autodidatta nel campo fotografico, lo studio vero e proprio consiste nel vedere il lavoro degli altri, e il cinema penso che sia l’apoteosi della fotografia. Guardando un film o un corto non seguo solo la trama, ma mi concentro anche su come è inquadrata la persona e quella dietro di lei, o su come si incastra il background. Per me diventa fonte di conoscenza e di ispirazione, a partire dai grandi maestri italiani come Bernardo Bertolucci con il suo Piccolo Buddha, che è di certo uno dei miei film preferiti.

Quindi ti manca il cinema in Nepal?

In realtà per un paio di anni lo abbiamo avuto a Lo Manthang. Era una casetta adibita a cinema con tanto di gradinate, nata grazie a un monaco intraprendente che era riuscito a trovare un po’ di soldi e a comprare un proiettore e un lettore dvd. Non c’era elettricità e quindi funzionava tutto con il generatore. Posizionata davanti al gate della città c’era una lavagna con il titolo del film in programma per la serata. Non capendo la lingua, io ci andavo per passare il tempo e interagire con la gente. Succedeva che, dopo l’inizio della proiezione, le persone iniziavano a lamentarsi per quello che stavano vedendo. Quindi dopo un’ora di proiezione si cambiava film, finché non se ne trovava uno che mettesse tutti d’accordo. A quel punto iniziava una nuova visione, ma alle undici si chiudeva tutto perché il generatore faceva confusione e si doveva dormire. In tutti quegli anni non sono mai riuscito a finire un film intero. La sera dopo ricominciava sempre la stessa tiritera. Ricordo con piacere che un anno per il mio compleanno mi fecero una sorpresa e trovarono Indiana Jones in inglese, organizzando una proiezione solo per me. Dopo un po’ però il cinema ha iniziato a popolarsi e dopo venti minuti hanno cambiato nuovamente pellicola.

Ormai vivi all’estero da circa 20 anni, la maggior parte di cui trascorsi in Nepal. Cosa provi quando torni qui a Cisterna?

Quando ritorno respiro l’aria del posto dove sono cresciuto, l’aria di casa. Quando sono lontano a mancarmi di più sono naturalmente la famiglia e gli amici. Vivendo in Asia, in una paesino di mille anime a 4000 metri di altitudine e a tre giorni di cavallo dall’aeroporto, ti abitui a essere felice con niente, quindi quando sono qui non cerco altre cose perché sono abituato a non averle. Per questo posso godermi le persone che mi mancano.